In principio era il seme

In principio era la delicatezza del poco e del niente, del poco poco, di quell’impercettibile -senza polvere e senza peso- che viene alla luce. 

In principio era il seme, e il seme era presso il seme e vi era la Vita dentro a quel seme, e da quel seme nasce ogni frutto, e da quel poco poco tutto viene, tutto nasce, ciò che muore rinasce. Senza quel seme niente è stato fatto di ciò che esiste.

E il seme si fece Parola e venne a fiorire dentro di noi. 

La vita d’ognuno è un’attesa. Il presente non basta a nessuno: l’occhio e il cuore sono sempre avanti, oltre la breve gioia, oltre il limite del nostro possesso, oltre le mete raggiunte talvolta con aspre fatiche. In un primo momento ci si accorge che ci manca qualcosa: più tardi ci si accorge che ci manca Qualcuno. E lo attendiamo…

Tale attesa, calma o disperata, silenziosa o urlante, distratta o consapevole, è il disegno inconfondibile della nostra povertà e insieme della nostra grandezza. L’uomo non è mai tanto povero come quando s’accorge che gli manca tutto, non è mai tanto grande come quando, da questa stessa povertà, tende le braccia e il cuore verso Qualcuno. 

Egli è Colui che viene -il Veniente, e viene davvero!-, io colui che attende. 

Si abbassò, si fece basso, si fece terra. Tutto giù per la terra, venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto. Cuori sassosi, cuori d’asfalto, cuori spinosi. Ai cuori friabili, a quelli fecondi però ha dato il potere di diventare spighe dorate, mele cotogne, fichi dolcissimi. Figli di Dio, figli di Re.

Perché dalla pienezza sua noi tutti abbiamo ricevuto e grazia sopra grazia. Abbiamo mangiato da ciò che è suo: «Benedetto sei Tu, Signore, Dio dell’universo, dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, lo presentiamo a te, perché diventi per noi cibo di vita eterna». Il pane fresco sulla tavola ha viaggiato migliaia di miglia e di anni per arrivare. Dai campi di Booz fino a Betlemme, innumerevoli generazioni di contadini hanno selezionato spighe, frantumato chicchi, mescolandoli all’acqua, con lievito e fuoco di fornace per tramandarci pane. È dono di umanità a se stessa, fatto di cielo, acqua, terra e fuoco, è manna. Noi mastichiamo manna come quella assegnata nel deserto, noi ci nutriamo di un pane che è un corpo, che ora giace tra bende e sospiri in una mangiatoia. 

E quelle manine che ora s’agitano al freddo e al gelo presto saranno mani inchiodate, palmi forati. Buchi nelle tasche d’una tunica cucita tutta d’un pezzo e buchi nelle mani. La Croce è l’albero più fiorito: ancora oggi, ora e qui, si innalza verso il cielo e ci attira tutti a sé. Perché il seminatore non guarda né il dove né il quanto, l’importante è seminare. E poiché la Sua parola è davvero un seme, possiamo affermare che il seme non si perde anche se si semina lungo la strada, tra le spine o sulla roccia. Se non colmerà la fame del cuore dell’uomo -almeno!- nutrirà gli uccelli del cielo e vestirà i gigli dei campi. Il seme va seminato ovunque: ecco cosa è venuto a dirci. Dio non ci farà colpa di seminare largo. Ci farà colpa di aver avuto paura di seminare sempre e ovunque e di inquietare qualsiasi pasta. Ci farà colpa di una custodia gelosa ed egoistica del seme, per paura di comprometterlo o di avere alberi e fermentazioni non conformi ai nostri piani. Non c’è crescita o fermentazione che non abbia le sue sorprese e i suoi inconvenienti, ma sono gli inconvenienti e le sorprese della vita che si guariscono col vivere, come le sorprese della libertà si guariscono con la libertà. 

Non c’è esplosivo paragonabile alla forza misteriosa e incoercibile che Dio ha chiuso in un granello di senape e in un pugno di lievito. Il granello nella terra opera senza violenza, come il lievito gonfia la pasta lentamente, in un modo invisibile a occhio nudo nel suo nascere o gonfiarsi, ma visibile solo dopo. Il granello riceve in dono della terra e, rispondendo quasi a una vocazione o a un richiamo più alto della materia inorganica, porta la materia a celebrare le nozze con la vita. Sono questi i meravigliosi sponsali che si svolgono nella natura quasi a riaffiorare e a preparare nell’uomo il misterioso e conclusivo sponsale tra la natura e la grazia, tra l’umano e il divino. Pensa a un chicco di grano. Tu lo semini nella terra. Lui vi affonda e scompare. Ma nel momento in cui muore spuntano due foglioline. Le vedi crescere diventare forti, poi morire. Ma intanto cresce la spiga. Vita, morte, ancora vita; ogni volta la vita è più grande. Così è per noi nella vita con Cristo e in Cristo.

Io terra, tu seme. Tu terra, io seme. E’ Gesù, ma sei tu!

E allora si porterà frutto, perchè il seme diventerà foglia, poi spiga, poi pane, poi corpo. Amore donato, albero frondoso. Trenta, sessanta, cento per uno. 

Amore, che sei il mio destino, insegnami che tutto fallirà se non mi inchino alla tua seminagione. Se non mi faccio seme, se non muoio. 

Questo Avvento ci regali lo stupore: dell’eternità che si fa nuova, dell’immensità che si fa piccola, della bellezza che si fa deforme, della maestà che si fa abietta. Della Sapienza che s’è fatta gemito, della fortezza che s’è fatta infermità, della giustizia che s’è fatta colpevolezza, della ricchezza che s’è fatta povertà. Di Dio, che s’è fatto bambino.

Noi ti attendiamo, Signore: «Stillate, o cieli, la vostra rugiada e le nubi facciano piovere il giusto; si apra la terra e produca il Salvatore». 

Testo di Elettra Ferrigno

Foto di Maria Grazia Pontorno

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *