Se non vedo, credo.

In terra d’uomo, tra poveri uomini, che fanno fatica a muoversi se uno non li spinge o li porta, che a fatica distinguono fiore da fiore, albero da albero, veleno da profumo, l’assurdo non esiste più. C’è solo una grossa pena da cui il Signore, in una maniera impensata cava qualche cosa che fa bene a tutti, all’incredulo e al credente.

Nel Vangelo di oggi c’è un cenacolo e una porta chiusa. Una porta chiusa per timore di qualcuno è storia di tutti i giorni, anticipata nel servo della parabola che sotterra il talento per paura di perderlo. Ben pochi amano il rischio: si trattiene ogni impeto, si soffoca ogni grido, si sprangano le chiese.

Per fortuna che al Signore non importa nulla dei nostri catenacci, ed esce ed entra come vuole la sua carità. Egli cammina o si ferma, opera o riposa, parla o tace, senza badare ai nostri timori. Egli non ha piccoli interessi da salvaguardare, né uomini da compiacere.

L’ostinazione di Tommaso è meno antipatica del timore di tutti gli altri. Non è certo un complimento, ma è un modo schietto e chiaro di comportarsi, una resistenza quasi doverosa. Sono così frequenti e malsane le esaltazioni pseudomistiche! Più di tante leali negazioni. Non solo il Signore mostra di non offendersi dell’incredulità di Tommaso, ma ne fa, anzi, un argomento per la nostra fede. Induce l’uomo a sostare, a dimorare nel dubbio finché diventi contemplazione. Solo nella contemplazione delle sue mani e del suo fianco ogni resistenza diventa resa. Solo guardando in profondità quelle crepe d’Amore è possibile la trasformazione: l’occhio diventa cuore che gioisce. E arriva la pace… Egli «insuffla»: in Adamo la vita, nelle ossa aride i muscoli, nei titubanti pronti ad accogliere Spirito e pace in abbondanza. Quella sua pace, che sempre viene a mancare, scende ancora sui cuori stanchi, e ogni cuore è stanco, scende sulla nostra storia e le nostre vicende di dubbi e sconfitte, come una benedizione.

Se adesso possiamo credere senza vedere, e quindi essere beati, lo dobbiamo proprio a quella ostinazione. Non è vero che al Signore dispiacciano certe resistenze. Quando sono resistenze ragionevoli, quando è l’uomo leale, l’uomo onesto che, prima di affidarsi a un altro prova se può fare da sé, il Signore non può essere malcontento.  Egli non ci domanda una resa a discrezione al primo assalto della grazia. Non è bello neanche per la grazia vincere in tal modo. Sì: cedere alla grazia è vincere; ma questo mettersi in ginocchio, dopo aver voluto vedere, non è una diminuzione. Una fede che non sia libera e virile non è neanche una grande virtù. La salvezza che ci dà la fede ha un prezzo infinito, ma cosa sarebbe una salvezza non liberamente accolta, contemplata? Dio vuole essere servito, amato e adorato da uomini liberi. La libertà è l’aria di ogni pentecoste.

Tommaso si è mostrato contegnoso e renitente, e prima di gridare: «Mio Signore e mio Dio» ha voluto essere sicuro della piccola garanzia che offrono i sensi. Ma adesso il Signore sa che quel grido è un credo che verrà continuato anche davanti al martirio, mentre certe prosternazioni facili ed entusiastiche cedono alle prime difficoltà. Tipi come Tommaso ci mettono un po’ ad inginocchiarsi ma quando si inginocchiano lo fanno veramente; quando amano, amano veramente. La fede di questi uomini ha un gusto quasi aspro, ma nel loro libero spirito si riflette la libertà del Padre. Tommaso, che non vuole rinunciare al suo mestiere di uomo neanche di fronte al mistero del Cristo glorioso, non è uno schiavo: è un uomo. E quando Tommaso si offre, è un uomo che si offre. E se offre a Cristo il suo cuore, è un cuore d’uomo che si offre; e se china la testa davanti a lui, è una testa d’uomo che si china.

Così incomincia l’adorazione in «spirito e verità».  

Testo di Elettra Ferrigno©

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