Nelle mie playlist di Spotify di questi giorni, la canzone più ascoltata si intitola “Radice” del cantautore torinese Orlando Manfredi. Radici e casa sono il leitmotiv del testo: «Uomo-radice costruisco una casa dentro te».
La radice non si vede, svolge il suo lavoro nel nascondimento. Sottoterra costruisce “case”: crea forti legami con la vita nel suo espandersi all’infuori. In ambito linguistico, la radice è un elemento irriducibile e indivisibile che diventa costitutivo del significato principale della parola. Le parole mettono radici: che sia una cattiva parola o una grande parola. Nella grammatica che scegliamo di utilizzare, diventiamo radice di bene o di male per la vita degli altri. Un Logos – Parola con la p maiuscola – si è attendato tra noi, germoglio del tronco di Iesse, padre di Davide, virgulto germogliato dalle sue radici.
La liturgia di oggi è tutto un alternarsi di casa e radici: una sinfonia di parole, un innesto nella carne. Nella storia, in ogni uomo.
Davide abita in una casa di cedro. Il cedro è una pianta speciale della storia sacra. È il legno principale con cui Salomone, il più grande imprenditore edile dell’Antico Testamento, costruirà il tempio, l’altare e il suo leggendario palazzo. Il cedro non è solo l’immagine poetica di solenne bellezza che campeggia sul paesaggio e sulla bandiera del Libano, ma un concentrato di valore sacro. Il cedro, nel libro di Samuele e di Ezechiele, è l’albero della profezia messianica. Le parole sacre viaggiano da un libro all’altro accumulando significati: questo viaggio delle parole nelle scritture sacre rende i molti libri un unico libro e i molti luoghi un unico ‘discorso’. Davide vuole costruire una casa per il Signore, mettere al riparo l’arca e darle una degna sistemazione. «Forse tu mi costruirai una casa perché io vi abiti?», fu la risposta del Signore, seguita da un annuncio: «Il Signore ti annuncia che farà a te una casa». Poi la promessa di piantare il popolo su un luogo da lui fissato. Dio stesso è capomastro e agricoltore. Popolo come radice da piantare, uomini degni di una casa – spazio sacro – da abitare.
Le radici diventano alberi, i loro rami mettono foglie come genealogie. Ogni frutto è chiamato “figlio di”. Un unico tronco, i cui rami si espandono rimanendo però avvinghiati alla promessa di una sola terra, una sola casa.
Casa è parola così importante da sostituire la parola famiglia: leggiamo della casa di Abramo, della casa di Isacco, della casa di Giacobbe, per intendere la discendenza. Per una donna, nella sacra scrittura, avere figli è atto di costruzione. Il grembo diventa la casa definitiva. Le viscere sono un altro nome della parola cuore; cuore è un altro nome della parola casa. «Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore», frase incandescente annotata dagli evangelisti per ricordare che il cuore dell’uomo è radice di ogni scelta autentica, la casa in cui si può generare vita, oppure morte.
«Donna radice costruisci una casa dentro me» (Manfredi, Orlando. “Radice”).
A portare il segno di tempi solenni e di nuovi edifici è una ragazza di nome Maria. La radice che lei porta in grembo è un bambino. I bambini sono una casa di carne. Ogni generazione attende il Messia, spetta ai credenti di spianargli l’arrivo, di vangare il proprio cuore per incalmare in sé quella Parola che è radice e anche casa. Di un “Eccomi” c’è bisogno, perchè la Casa trovi casa da abitare, perchè la Radice diventi giardino fiorito nel cuore dell’uomo e che egli possa dire «Non ci riesco a difendermi da te» (Manfredi, Orlando. “Radice”).
Natale è un Dio-bambino che vuole fare radici, costruire una casa dentro me.
Testo di Elettra Ferrigno ©️
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