Non chiamatelo più ragazzino

Oggi la Chiesa tutta – militante, purgante e trionfante – è in festa! ROSARIO ANGELO LIVATINO È BEATO! Codice e Vangelo si sono abbracciati, come anche misericordia e verità, sotto il bacio della giustizia e della pace. Lui ha il nome di una potente preghiera: Rosario. Dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, gli fu affibbiato, suscitando non poche polemiche, l’appellativo di “giudice ragazzino”, oramai entrato nell’uso corrente per impeti di tenerezza che ci evoca il suo ricordo. Rosario Angelo Livatino era un giovane magistrato: aveva 38 anni quando la sua vita fu stroncata per mano della mafia e il suo corpo fu crivellato di innumerevoli colpi di arma da fuoco. Rosario Angelo Livatino era mio compaesano ed è cresciuto nelle stesse strade e nello stesso quartiere in cui anche io sono cresciuta, saltando la corda e giocando alla “‘nzipita”. Lui amava giocare per strada, era amico di mio padre, ma poi educatamente si licenziava per tornare a casa perché amava lo studio. Crescendo, tra i suoi ideali ne spiccava uno grande: annientare la «Stidda» (ndr), rimuovere la mafia dal territorio agrigentino e dalla terra di Sicilia. Nel travaglio delle decisioni e dei suoi scritti, Rosario poneva tutto «Sub tutela Dei», intuendo intimamente che oltre la scarpata della morte c’è la vita, per sè e per gli altri.

Mi piace pensare che il sangue di Rosario sia stato seme per nuove fioriture. Così è del sangue dei martiri, nei secoli dei secoli. Nuovi semi di giustizia sono venuti dopo di lui, con Falcone e Borsellino come fiori all’occhiello. Una sola forza perché uno è il motore: la giustizia, che più che appartenere al diritto è virtù e dunque non guarda al bene per sè ma a quello degli altri, abbracciando la società tutta intera. La foto di Rosario ce l’ho sulla mia scrivania, tra gli oggetti d’uso quotidiano, tra i post-it e le pile di libri, spicca il suo sorriso su fondo blu. Ci scambiamo sguardi d’intesa, a volte parlo con lui come si fa al telefono con un amico. Nel silenzio, Rosario mi ricorda l’opzione fondamentale: la libertà inappellabile di scegliere da che parte stare. Di decidere la credibilità nel ratificarsi dei singoli atti quotidiani, quando il credere si condensa nel rifiuto o nell’accoglienza del bene supremo. Perché se il credere è aderire ad un Credo, la credibilità ne è la sua piena realizzazione nel tempo e nell’eternità.

Testo di Elettra Ferrigno ©

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *